di Francesca Ghiribelli
Io non volevo far lo “scrittore”, volevo solo usare il cuore. Non volevo scrivere rime gaudenti per accender il cuore di tormenti. Non volevo superare l’infinito scrivendolo in un rigo. Non volevo assaporare le stelle immaginando i loro occhi sulla tua pelle; non avrei neanche voluto sentirti mio, caro foglio, perché se ci penso e ti scrivo non voglio far ritorno.
Sì, non voglio far ritorno nella reale circostanza di un mondo che non vede più in là del suo sogno.
Se soltanto tutti vedessero ciò che vedo io, mentre il sole va e torna, mentre osservo la luna che mi parla nell’assonnato risveglio della notte, mentre tutto nella vita scorre.
Scorre il fiume, l’anima respira e muore, i capelli crescono e cadono, il talento incontra l’occasione oppure scivola via dietro un portone, ma un “per sempre” scritto agli angoli del mondo per me diventa tutto. Un limitato infinito di due parole scritte e amanti dello stesso uomo e della stessa donna, mentre tutto il resto è sordo e non ascolta. Io invece son qui che ti sento, piccolo grande battito di luce dalla voce fioca, che tarda ad arrivare per la troppa paura di cominciare. Ma io inizio e non mi dai pace finché non trovo la giusta sintonia che le sonore risa delle sillabe cercano nel vento dei ricordi. Non ti accorgi del soffice manto, con cui mi stringi al tuo fianco e dove io affondo con incanto. Non voglio chiamarti “scrittore”, dolce e abbandonata anima di sogni attaccati all’amo di un giorno, perché non è soltanto un giorno, quel momento in cui mi stai accanto senza chiedermi niente, ma rivesti ogni mio “forse” di “sempre”. Soltanto un mistico silenzio animato da un sorriso sfuggente che si chiama ispirazione.
Sublime sospiro di serena ombra, dove riscopro il sole nascosto in me. E lì divento re di quella radura, in cui non c’è fame, non c’è guerra, ma c’è soltanto pazienza.
Non sono “scrittore”, non sono “paroliere” né “poeta” o “scribacchino”, so soltanto che la ferma penna che stringo mi fa tornare bambino. Perché non serve un mondo di scrittori, letterati o saccenti specializzati, qui abbiamo bisogno soltanto di occhi veri e cuori sinceri. Di chi non ha timore di parlare con la dolcezza di ieri e di toccare con la tenerezza del domani.
Ecco, io riesco a farlo scrivendo. E io ti bacio, adorato foglio, affidandoti i miei dubbi che tu leggerai certezze.