di Martina Paolantoni
Ricard Wagner compositore e drammaturgo tedesco, protagonista del romanticismo e fondatore del linguaggio musicale moderno, volendo esprimere il suo particolare punto di vista sulla genesi dell’arte musicale, scrisse: “I grandi compositori devono nascere in Germania morire in Italia”.
E così fece: nacque a Lipsia, battezzato nelle oscure acque ancestrali della mitologia teutonica, e concluse la vita terrena a Venezia; qui compose, tra l’altro, Tristano e Isotta, dopo aver vagabondato per il Bel Paese, ispirandosi alle più belle città italiane, come sfondo alla scenografia delle sue opere.
Ricordiamo l’opera Parsifal, concepita nella Villa Rufolo di Ravello, dove il compositore si rifugiava per fuggire dalle nebbie di Bayreuth.
A Roma, per seguire le tracce di Wagner, partite da Piazza del Popolo, lasciatevi a sinistra la Basilica di Santa Maria del Popolo, gelosa custode delle opere del Caravaggio, ed immergetevi nel Tridente. Non dimenticate di onorare Goethe e Schiller che vissero a Piazza di Spagna sul finire del settecento come ricordano le incisioni in fondo alla scalinata e proseguite per l’aristocratica Via del Babbuino. Alzando lo sguardo un’effigie in marmo su un palazzo farà la spia sul luogo scelto come dimora da Wagner nel 1875, a pochi passi dal Conservatorio di Santa Cecilia, che proprio in quell’anno veniva fondato. Un periodo florido per la cultura, in cui Giuseppe Verdi e Richard Wagner accentrarono la musica, il teatro e l’opera.
L’uno, con insuperabile talento ed immediatezza, tradusse nel ricco linguaggio musicale le esperienze maturate in Germania ed in Francia, dando impulso ai primi tormenti del clima culturale che porterà ai movimenti risorgimentali.
L’altro, animato da una straordinaria vocazione, capace in varie musiche pianistiche e orchestrali di dar prova di quanto proveniva dalla grande tradizione settecentesca, tendente al cromatismo, e con un forte spirito generatore di temi sociali ispirati all’intero dramma umano: come un soffio vitale, originario, che poi si dilata. Fulgido esempio è il Requiem: che inizia con un grido! Si ribella al destino, traduce in musica esplosiva la domanda posta da Leopardi: “…questa è la sorte delle umane genti?… Non una messa da morto. È una messa da Requiem come “morta” è la “Canestra di Frutta” del Caravaggio, in cui la natura nei segni di maturazione dell’uva e di marcescenza della foglia non è mai stata più viva.
Nelle aspirazioni wagneriane la creazione di un nuovo dramma musicale su modello estetico della tragedia greca, essenza di musica e poesia drammatica. Ai primi appunti poetici e musicali, si mescolano riflessioni e saggi teorici e critici ed opere ispirate ai miti germanici del XIII secolo. Nel suo Tristano e Isotta come nel Parsifal il ciclo della Tavola Rotonda e del leggendario Gral si fondono con elementi magico-religiosi, che fanno vivere i protagonisti oltre la realtà sensibile. In questo luogo dei sogni il compositore dà voce alla natura, alle passioni e soprattutto il leitmotiv: il tedesco Middle, il πάϑος, la condivisione del dolore. Due incontri, infatti, segnarono la vita di Wagner. Il primo con Mathilde Wesendonck, divenuta sua musa ispiratrice e grazie alla quale conobbe “L’infinito” di Leopardi. Il secondo quello della filosofia di Zheng, essenza esoterica del dolore. Così decisivo da impregnare la sua opera e far approdare Wagner al rapporto tra religione ed Arte. Da quel momento non propose più i miti, ma ricercò in essi la redenzione del fallimento dell’uomo, lasciando all’Arte il ruolo della salvezza.
Parte della visione europea sul fine dell’esperienza umana terrena è permeata dalla filosofia parmenidea, che traspare anche in Wagner, secondo la quale l’essere nasce buono o cattivo, e così resta. Altra visione, più positiva e vicina alla possibile redenzione dai propri errori, è quella eraclitea, che ravvediamo in Verdi, che vede l’uomo modificarsi durante la vita, assecondando la propria indole, ma esprimendo la libertà di divenire quello per cui sente di essere al mondo, o di tentare di farlo anche a costo della vita.
Il successo di Wagner è stato comunque ricordato nel convegno del 30 aprile u.s. a Roma alla Sala della Musica di Musicopaideia a cura di “La Voce Wagneriana. L’Associazione, nata dalla volontà di Luca Maria Spagnuolo (ideatore dell’iniziativa culturale Dante per tutti), che, è volta a ricercare e tradurre in italiano le opere ispirate a Wagner alla stregua di fonti storiche e letterarie ed annovera tra i soci la studiosa Cambria, il Prof. Camparsi, esperto di estetica e di filosofia tedesca, Boghovich musicologa, germanista. Cita Boghetich: “Wagner è un viandante senza meta, in rifugio da sé stesso“. Un pellegrino che ha trovato rifugio nelle lettere di San Paolo al Vangelo di Giovanni, da Shakespeare a Goethe, che hanno plasmato un’intuizione eccentrica ed una vasta cultura.
Tra fiabe, erratici miti ed esoterici misteri le anime di Tristano e Parsifal vibrano nelle note di Wagner. E se tal volta la parabola wagneriana ha subito delle inflessioni, occorre conoscere l’origine delle idee dei commentatori. Poiché la comunicazione sconta il pregiudizio della mela di Biancaneve dove la metà è velenosa e l’altra no; e tra dire che i suoi drammi sono un’opera di evangelizzazione tedesca, idea cara al movimento ariano, e dire che sono la mappa per una inizializzazione, e quindi un tentativo di inclusione, la verità sta nel mezzo, forse. Ma il mezzo è un posto scomodo in cui stare, poiché la posizione mediana fa appello alla razionalità invece che l’emotività, che è la forza che scatena la necessità di esprimere, attraverso le arti, le passioni umane.
Il wagnerismo divenne una vera e propria mania in Germania e con la lingua tedesca, la lingua dei suoni, la musica del grande compositore edifica nel cuore del popolo germanico un sentimento di appartenenza, che assolve lo spirito di esclusione dei diversi, con un tentativo di inclusione nel godimento comune della bellezza nell’arte della musica.